ieri notte ho fatto un incubo terribile.
ho sognato di andare a prendere momo al nido dell'ospedale. nel sogno io ero stata dimessa dall'ospedale mentre lui era stato trattenuto per non so quali ragioni. mi presentavo ad una specie di bancone accoglienza e chiedevo del mio bambino. una gentilissima signorina con divisa da hostess, sorriso smagliante e capigliatura svolazzante mi diceva che i bambini erano stati
tutti dimessi, il mio giacomo pure.
ma a me non l'hanno dato...sì, sì, i bambini son stati dimessi
tutti. non c'è più nessuno nel nido.
ma a me non l'hanno dato...
improvvisamente io mi sentivo tutta dentro di me. cioè era come se l'inquadratura del sogno adesso avesse come unico soggetto me. e improvvisamente mi vedevo sporca e trasandata. avevo di nuovo i capelli lunghi come un tempo, ma unti e flosci sul viso, quasi degli stracci addosso. e avvertivo netta la sensazione di perdere il senno. mi veniva da ridere, poi da piangere. pensavo che mi avevano perso momo, che non c'era più. e sentivo rimbombare distorta la voce della receptionist che mi chiedeva se andava tutto bene ridendo sempre
più sonoramente.
io sapevo che stavo impazzendo e cercavo di distogliere lo sguardo da quella donna per cercare mio marito, cercavo di aprire la bocca per dire qualcosa, ma sentivo la follia che s'impossessava di me come un flusso raggelante che mi pervadeva lentamente.
al risveglio ho sfogato tutto con un pianto liberatorio, perché invece momo era nel suo lettino accanto a me che faceva i suoi mugugni notturni.
poi alla luce del giorno mi sono resa
conto che quello che sto elaborando è quello che abbiamo vissuto nei primi giorni di vita di giacomo. all'ospedale dove ho partorito non c'era il
rooming in. a dire il vero l'ho scoperto tardi, quando già avevo preso contatti con ostetrica e ginecologo. ed essendo la mia una situazione logistica un po' particolare visto che sarei tornata a roma a poche settimane dal parto, non me la sono sentita, una volta qui, di cambiare ospedale, ostetrica e ginecologo per questa ragione. innanzitutto perché nel turbine del rientro da new york non sapevo dove andare a sbattere, un po' perché pensavo che l'equipe medica fosse fondamentale perché il parto era la cosa che mi spaventava di più, un po' perché l'ostetrica mi aveva promesso che avrebbe fatto in modo di farmi lasciare il bambino un po' di più visto che avevo prenotato una stanza singola e non avrei dato fastidio a nessuno, infine perché, a sentire chi del
rooming in aveva usufruito, non sembrava male avere il tempo di recuperare prima del rientro a casa dove il contatto con il bambino sarebbe stato ventiquattr'ore su ventiquattro.
ho fatto la donna matura che valuta pro e contro, non si fa prendere dall'isteria dell'istinto e decide razionalemnte per il male minore: sono andata a partorire lì, ospedale che avevo scelto anche per la presenza del reparto TIN.
il risultato è stato che subito dopo aver partorito (il parto lo riservo ad un altro post, perché quello invece lo devo ancora elaborare) alle 9 di sera, momo mi è stato portato via, con la speranza non garantita di rivederlo alle 6 della mattina dopo, quando tutti i bambini del nido venivano consegnati alle mamme per la prima poppata mattutina.
quella notte non ho chiuso occhio, tra dolori, adrenalina e paura che potesse essere successo qualcosa a momo, o che durante i controlli fosse venuta fuori qualche complicazione di cui non sarei stata avvisata fino alla mattina dopo. immaginerete la reazione quando, non appena ho sentito il rumore delle rotelle delle culle nel corridoio e ho mandato mio marito a prendere immediatamente il nostro piccolo (io ero semimmobilizzata a letto), ho sentito la voce dell'infermiera che diceva che giacomo non c'era, che era presto perché me lo portassero.
sono scesa immediatamente dal letto, piangendo, arrancando come una povera disgraziata. mio marito s'informa, cerca di capire, quindi mi trova una sedia a rotelle e andiamo al nido perché il motivo per cui momo non ci era stato portato era per carenza di culle.
io ormai piangevo senza freni, parlando con l'infermiera che si rifiuta di darci il bambino per portarcelo in camera e mi concede solo di provare ad allattarlo nella stanzetta attigua al nido adibita a tale scopo.
lascio la sedia a rotelle e non so con quali forze mi siedo su una di quelle sedie da sala d'attesa attaccate le une alle altre, gomito a gomito con le ragazze con cui la sera prima mi ero ritrovata, compagna di barella, a condividere lo stordimento di quei primi momenti successivi al parto. mio marito non era ammesso in questa stanzina, quindi ancora non può vedere suo figlio.
l'infermiera mi da momo tra le braccia e io non riuscivo a smettere di piangere perché mi sentivo sola, mi sentivo fragile, avevo paura che mi cadesse dalle braccia. ero scomoda, dolorante e lui mi sembrava pesantissimo. volevo spogliarlo per vedere com'era, se era il bambino che per qualche istante mi aveva riscaldato il cuore la sera prima, ma sono riuscita a malapena a togliergli un calzino per contare mille volte, con gli occhi offuscati, le ditine, senza riuscire a essere certa che fossero cinque.
alzando lo sguardo vedevo le altre mamme più o meno allegre e sorridenti che avevano già attaccato il figlio al seno. allora ci ho provato anch'io.
e momo non mi ha voluto. era tranquillo e sonnacchioso, non ha pianto neanche un istante. dormiva e io mi vergognavo di questo capezzolo inerme accanto alla sua bocca serrata. mi veniva solo da piangere.
poi è scaduto il tempo e me l'hanno tolto dalle braccia. il calzino che gli avevo tolto è rotolato per terra dalle mie ginocchia e io non sono riuscita neanche a piegarmi per riprenderlo. mi è rimasto il calzino bianco spaiato del suo primo giorno.
adesso finalmente ho scritto tutto.
questa è precisamente la mia prospettiva. questo è quello che ho vissuto io. così.
non è colpa di nessuno. è andata così, ma sarebbe potuta andare meglio.
forse sono stata un po' leggera a non pensare di garantirmi per il post-partum una situazione più protetta. eppure ce l'abbiamo messa tutta. all'inizio ci avevano detto che il
rooming in c'era. avevamo anche questa stanza singola in cui mio marito ha potuto dormire per stare con noi sin dall'inizio, ogni istante. e ci sarebbe stato a maggior ragione se avessimo avuto momo con noi tutto il tempo. per lascirmi riposare e recuperare le energie dopo il parto.
quei primi giorni sono stati una forsennata altalena emotiva durante la quale ho avuto momenti di felicità estrema e di angoscia attanagliante. chi veniva a trovarmi mi diceva che non sembrava avessi partorito poche ore prima, mio marito mi ha soprannominato
leonessa per tutta la forza che avevo tirato fuori. ma io non mi voglio dimenticare tutta la fragilità che c'era dietro i ruggiti e i sorrisi. tutta la sofferenza che ho provato e le lacrime che ho versato, perché la prossima volta...
mi consola solo l'immagine che ancora ho stampata nella mente di quel primo sorriso burroso, la stessa smorfia che gli vedo ogni tanto illuminare il viso e mi conferma che di là, nella sua culletta, dorme proprio il
mio bambino, la caramella di zucchero e mirtillo che ho partorito io.