sì, lo so che non è domenica. sì, lo so che sbarellare già alla terza settimana non è segno di affidabilità, ma che ci volete fare? cercherò di recuperare con un libro veramente coi fiocchi. e approfitto del giorno della memoria per parlarvi di un libro a tema.
ero arrivata da poco nella redazione dove ho lavorato prima di partire per new york e dopo 8, 9, talvolta 10 ore a correggere bozze, a fissare font e caratteri, a segnare accenti stortignaccoli, non è che il primo pensiero, arrivata a casa, fosse aprire un libro in cui matematicamente avrei scovato un refuso per capitolo. vero è che i libri che mi capitava di leggere non avevano acceso la mia passione più di tanto, quindi nei momenti liberi, soprattutto in autobus durante i tragitti di andata e ritorno, l'ansia di nutrimento aveva la meglio e un buon compagno mi dilettava sempre, ben scelto però.
fu così che mi ritrovai a piangere incollata a un malconcio sedile dell'atac e a dover riprendere un autobus al capolinea.
la bambina che salvava i libri è uno di quelli che salveresti, appunto, da un incendio. è uno di quelli che compri per il titolo evocativo e ti piace tenere sul comodino perché la bambina ritratta in copertina racconta già una storia. è uno di quei libri che è difficile raccontare perché ognuno lo legge a modo proprio. è uno di quei libri di cui ti piace già sfogliarne le pagine che ondeggiano con insolite giustificazioni. ci sono disegni, tanto grassetto e stelline. sincopi e sovrappensieri. titoli, sottotitoli e indici, sintesi e approfondimenti. sottolineature senza matita e inquadrature fisse, carrellate rapide ed esemplificazioni. significati, frammenti. pensieri da fermare, parole da ricordare. e poesia, tanta poesia, che trasuda persino dagli spazi vuoti. dal buio di un rifugio. persino dalla morte.
è scritto da un autore giovane di libri per ragazzi. australiano, ma figlio di genitori europei che hanno vissuto sotto il nazismo le esperienze cui egli si ispira per questa storia.
liesel ha nove anni e ruba per sfamarsi. in tutti i sensi.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
15 commenti:
Ciao... ogni tanto vengo a vedere il tuo blog, questo libro già sta nella lista dei libri che voglio leggere, adesso dopo il tuo depoimento voglio comprare subito!!
Un saluto
Josi
Ciao,
ti seguo ma non commento mai, ma questa volta volevo dirti che anche io ho amato questo libro e che mi ha fatto piangere come una fontana!
E io lo ordino subito, grazie della segnalazione. Già titolo e copertina mi piacciono.
Mamma mia che bellissima recensione che hai fatto, Caia! Se non fossi impegnata a tenere le redini di questa mandira di cavalli che è diventata la mia vita da quando ho ripreso a lavoricchiare, mi fionderei in libreria. Per favore, quando me ne dimenticherò, sii gentile, ricordami di comprare questo libro.
Caia inconfondibile, come sempre, grazie mille per questo post, sara una gran bella lettura ne sono sicura.
ok, mi hai convinto ma mi devi rassicurare sul fatto che non è troppo triste. cioè: triste va bene, ma se è un triste bello, non un triste disperato...
paola
Io ho amato tantissimo questo libro che ho divorato nel mese di maggio dell'anno scorso(tra l'altro l'ho "recensito" a fine lettura sulla mia libreria di anobii). Anch'io ho pianto moltissimo alla fine... però fortunatamente ero a casa, seppur anche per me questo "tomo" sia stato anche un buon compagno di viaggio casa-lavoro!!! Quindi approvo la scelta!!!
Anch'io odio gli accenti sbagliati e storti. Ho letto "L'eleganza del riccio", traduzione a quattro mani di una francese e un'italiana, hanno scritto tutte le volte "sé stesso", certo avrebbero potuto scrivere di peggio: "sè stesso", ma è abbastanza orribile ugualmente. Mio marito dice che sono pesantissima quando parlo di accenti!!
Grazie per la tua recensione, quando torno in Italia, saprò cosa cercare in libreria.
Caiuccia, mi hai fatto venire voglia di rete e di parlare di libri! mi unisco alla sunday book review e vado a postare l'ultima lettura sul mio blog!
ah, e su "sé/sè stesso", "se stesso", sé/sè" è dibattito anche tra linguistiitalianisti. Io credo di scrivere (quando non ci penso) "se stesso" e "sé", ma da una lezione universitaria di Luca Serianni ricordo che c'è una corrente di pensiero pro-"sè" (che comunque non è sbagliato, non essendo e acuta ed e grave fonemi con valore distintivo, in italiano. cioè: se pronuncio con la e acuta o con la e grave il significato non cambia)
Grazie per il consiglio. Devo fare presto un nuovo ordine su Ibs. ;-)
mammasidiventa.ilcannocchiale.it
Grazie, lo metterò tra i libri da leggere
mammalellella
sono contenta che l'idea della S(B)R piaccia... è un incentivo a tenerlo un appuntamento fisso!
@erounabravamamma per me è un triste bello... che te devo di'? :D
QUESTIONE ACCENTI
come dice ilaria ci sono scuole di pensiero e di conseguenza ogni casa editrice su questioni come queste prende delle posizioni, per questo esistono le norme redazionali. per dire, la e/o in genere usa sé stesso. non è "colpa" del traduttore o dello scrittore, quelle sono scelte della casa editrice! bacio
grazie della segnalazione, prendo nota su anobii. Un abbraccio, Valentina
Scusate se ribadisco:
sono laureata in fisica (forse rigida e pesante) e dovrei inorridire per errori di altro genere, potranno pure esistere scuole di pensiero, ma la regola dovrebbe essere che le parole monosillabiche (avendo ovviamente l'accento tonico sull'unica vocale) si accentano qualora ci sia possibilità di equivoco, -sé- pronome deve essere distinto da -se- congiunzione, mentre se seguito da stesso è ovvio che sia pronome (altro è -se stessi- perché potrebbe anche essere -se io stessi-, quindi in quel caso potrebbe essere specificato). Se le case editrici prendono alcune scelte, non significa che sia la scelta linguistica più corretta, così come su tanti cartelli (uno gigante di Banca Intesa) si può leggere perch-è- invece di perché, divulgare un errore non significa legittimarlo o annullarlo.
Idem baci
Posta un commento